Esiste davvero un tango tradizionale?

Molti parlano di tango tradizionale come se fosse un blocco immobile, una forma codificata che andrebbe custodita gelosamente. Ma basta guardare alla storia per capire che questa idea è una contraddizione.

Il tango non è mai stato statico. È nato dall’incontro di culture diverse, si è trasformato con il passare del tempo, si è adattato ai contesti sociali e ai cambiamenti tecnici. Ogni epoca ha avuto il suo tango: quello dei sobborghi popolari, quello dei salotti borghesi, quello delle grandi orchestre, quello delle milonghe contemporanee.

Ecco perché anche l’espressione “tango nuevo” fa un po’ sorridere. Se non esiste un tango tradizionale “da museo”, non può esistere nemmeno un “nuevo” contrapposto a esso. Già negli anni ’20 alcune riviste parlavano di tango nuevo per descrivere i cambiamenti di allora: segno che il tango è sempre stato in continuo rinnovamento.

Chiamare tradizionale il Tango è come imbalsamarlo e dire che è ancora vivo.

Il tango è sempre stato danza contemporanea, nel senso più puro del termine: vive nel presente, si rinnova attraverso chi lo balla, chi lo insegna, chi lo interpreta. Non c’è un modello unico da copiare, non c’è un passato da replicare all’infinito. C’è piuttosto un filo invisibile che collega le generazioni, e che ognuno di noi continua a tessere ogni volta che abbraccia e si muove nella musica.

La vera tradizione del tango è la sua capacità di trasformarsi. Ed è forse proprio questa la sua forza più grande: restare vivo.

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